"Albero di palma. Primo ottone di Nerva. La tipologia di questo storicamente interessante rovescio, sia sulle antiche monete giudaiche che su quelle romane, è simbolica della Giudea, essendo la palma originaria di quel paese. La moneta è citata nel "Descr. Catalogue " di Akerman, nel "Cabinet de Christine" di Havercamp, nel "Traité Elémentaire" di Kolb.
Allo scopo di spiegare la leggenda
unica e veramente straordinaria associata a questo rovescio, si allegano
al presente testo, in quanto degne dell'interesse storico e dell'erudita
sagacità dell'autore, le osservazioni dell'autore della "Doctrina":
" Sin dagli inizi dello Stato
Giudaico, fu imposto agli Ebrei il pagamento di mezzo "ficlus", ovvero
due dracme, per il servizio dell'altare, come si può rilevare dal
libro dell'Esodo (cap. XXX. 12, 13.). Questo denaro, nei tempi successivi,
andava per le spese del Tempio e veniva raccolto non solo presso gli abitanti
della Giudea, ma presso tutti gli Ebrei, avunque residenti nel mondo: e
questo sistema privato di tassazione fu talora proibito dai Romani e di
questo ho fornito degli esempi, sotto la voce monete di Vespasiano (p.
327) e talora sanzionato da un editto, un esempio del quale, emesso nel
nome di Augusto, è stato proposto da Philo Judaeus (de Legat. ad
Caium, p. 592); e diversi altri da Giuseppe (Antiq. xvi. c. 6.). Lo stesso
Philo nel suo trattato chiama frequentemente questo denaro aparcai,
primizie (ovvero offerte); e, quindi, era della stessa natura di quei doni
che le colonie erano un tempo solite offrire ogni anno alle loro madrepatrie
per manifestare l'adorazione nei confronti delle deità nazionali;
proprio come Polibio ha utilizzato il termine aparcai
per indicare il contributo che i Cartaginesi erano soliti inviare a Tyre
in madrepatria. Ora è certo che la Città Santa era per gli
Ebrei d'ogni tipo la madrepatria. Ma il mezzo "ficlus" di cui sopra era
il ben noto didrammo che il nostro Salvatore pagò per sè
e per Pietro con lo statere miracolosamente trovato nella bocca del pesce,
come riportato nel Vangelo di San Matteo (cap. xvii. 24). Quando Gerusalemme
e il suo Tempio furono distrutti da Vespasiano nell'anno 823 della fondazione
di Roma (69 d.C.), gli Ebrei, ovunque residenti, furono costretti a continuare
il pagamento di questo didrammo, allo scopo tuttavia, non di assecondare
i loro costumi religiosi, ma come tributo di devozione a Giove Capitolino,
come viene espressamente riferito da Giuseppe (de Bell. Jud. vii. c. 6,
§ 6) e Dione (lxvi. § 7.)"
Svetonio riferisce (Domit. c. 12) che Domiziano "fu rigoroso nell'esigere la tassa giudaica, alla quale erano sottoposti tutti, sia quelli che vivevano nella clandestinità, secondo il costume ebraico, all'interno delle mura di Roma, sia quelli che celando la loro origine, avevano evaso il pagamento del tributo imposto alla loro nazione."
Spanheim, il quale ha dimostrato la sua erudizione ed eloquenza nella spiegazione di questa moneta (vol. ii p. 500), deduce dai termini utilizzati nella leggenda, che non si intendeva, come molti avevano creduto, che la tassa giudaica ovvero il didramma, era stata abolita da Nerva, ma semplicemente che la "calumnia" (il sistema di false accuse) era stata soppressa (sublata); cioè che erano stati esentati dal pagamento della tassa in questione tutti coloro che non avevano ammesso di essere Ebrei e da allora in poi i loro nomi non figurarono più nelle liste fiscali come appartenenti a quella nazione. Ciò in quanto l'iniquo sistema inquisitorio adottato da Domiziano nei confronti di coloro che erano sospettati di Giudaismo, è documentato in modo circostanziato da Svetonio nel passaggio sopra riportato.
A conferma di questa interpretazione
della leggenda in questione, Eckhel adduce un esempio mirabile:
"Secondo Eusebio ( in vita
Const. ii. c. 45), Costantino il Grande, al fine di reprimere l'eccesso
di idolatria, promulgò due leggi, una delle quali chiamata " legge
per la soppressione degli abomini perpetrati nelle città e nei distretti."
(non poche persone hanno interpretato queste parole nel senso che Costantino
desiderava, con questa legge, porre fine a tutti i riti del paganesimo,
nozione interamente in disaccordo con la storia. - Eusebio dice solo che
furono proibiti dall'imperatore gli abomini (ta
musara), come l'antica superstizione
li predilegeva, specie al di fuori delle mura cittadine).
Che gli Ebrei non fossero in seguito esentati dal pagamento del didramma, lo si evince dall'epistola di Erigene ad Africano nella quale ricorre l'espressione: ".. poichè anche ora gli Ebrei pagano loro (ai Romani) il didramma". E' abbastanza chiaro che la questione ebraica era diventata di grande importanza (rem Judaicam magni fuisse momenti) anche all'interno delle mura di Roma; e che le persone in genere soffrivano dell'indiscriminata severità nei confronti dei sospettati di Giudaismo, al punto tale che, quando alla fine il male fu rimosso, il Senato reputò l'evento così importante da perpetuarlo sulle monete.